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“La strada di la Seja la sapiti!”
I santi sono quei grandi credenti che hanno riempito il frammento di tempo e di spazio in cui sono vissuti di segni di un’esperienza coraggiosa e provocante: la decisione di fare Gesù il Signore della loro vita.
Anche Nicodemo è un santo. Egli ha deciso di mettere Gesù al centro della sua vita.
Di lui ricordiamo il nome; ricordiamo molti particolari della sua vita. La sua memoria ci viene tramandata nelle pietre di una chiesa costruita in montagna, nelle sue ossa, nella sua storia legata alla storia del nostro paese (Mammola), nella vita di intere generazioni, di uomini e donne di ieri e di oggi che lo hanno pregato e pregano, che con lui hanno dialogato e dialogano.

La chiesa si è pronunciata; riconosce che la sua vita realizza in pieno la sequela di Gesù. Per questo è un modello, concreto e significativo da imitare. Dice il Concilio: “Nella vita di quelli che, sebbene partecipi della nostra natura umana, sono tuttavia più perfettamente trasformati nell’immagine di Cristo, Dio manifesta vividamente agli uomini la sua presenza e il suo volto. In loro è Egli stesso che ci parla, e ci mostra il contrassegno del suo regno, verso il quale, avendo intorno un tal nugolo di testimoni e una tale affermazione della verità del vangelo, siamo perfettamente attirati” (LG,50).
Oggi c’è in giro forte consapevolezza che la pastorale giovanile è prima di tutto “vissuto”, “in situazione”. Nicodemo è uno dei tanti “testimoni e maestri” di cui è ricca la chiesa. Essere in loro compagnia, “vivere Nicodemo” aiuta i giovani a trovare riferimenti e criteri valoriali validi per la loro crescita; aiuta noi educatori, il nostro impegno e la nostra responsabilità, a riporre la nostra azione su quella Speranza che è la stessa che ha guidato la vita di questo grande testimone.
Come comunicare i santi ai giovani? Come renderli loro vicini, appetibili? Come far in modo che i giovani diventino santi?
“E il Verbo si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi” (GV 1,14).


I santi nella prospettiva dell’Incarnazione

“La strada di la Seja la sapiti”
La ragione della nostra fede e il fondamento della nostra speranza è Dio. È un evento che è difficile descrivere e catturare; è, nello stesso tempo , la roccia su cui noi costruiamo la nostra vita. Il Dio ineffabile e invisibile si fa volto e parola di Gesù di Nazareth. In Gesù di Nazareth Dio è divenuto colui che ha posto la sua casa tra le nostre. Nelle nostre Dio si fa vicino nella misura in cui assomigliamo a Gesù di Nazareth: nella misura in cui la nostra umanità si realizza in pienezza e verità, così come è l’umanità piena e definitiva di Gesù.
I santi sono quei nostri compagni di viaggio che ci ricordano Dio più vicino, perché nella loro umanità brillano più intensamente i segni dell’umanità piena di Gesù. Nella loro vita il volto e la parola di Dio sono più alti, convincenti e provocanti. Grazie a loro ci sentiamo tutti un po’ più immersi nell’ amore di Dio, lo sentiamo più vicino, un pò più Padre nostro. Nei santi ci sentiamo più sollecitati a schierarci dalla parte della vita nello scontro vita-morte; e scommettiamo più coraggiosamente sulla vittoria della vita: si alla vita!
Oggi chi li vuol risuonare in termini ripetitivi li tradisce e tradisce se stesso e gli altri. Noi non li celebriamo solo per ricordarli. Noi dobbiamo celebrare il ricordo dei santi riattualizzandoli.
Riattualizzare significa realizzare un’operazione a carattere ermeneutico, capace di far dialogare cultura ed evento. Introdurre una coscienza ermeneutica nell’agiografia (vita e celebrazione dei santi) significa ritrovare nell’ esistenza concreta dei santi, quella dimensione speciale dell’evento di Dio che essi nella loro vita hanno espresso (la diversità come ricchezza), liberandola del rivestimento espressivo che essi hanno assunto dal tempo in cui sono vissuti (diversità come limite culturale) e ridire tutto questo secondo modelli culturali capaci di risultare come significativi oggi.
Oggi “dire Dio” trova una risposta nella svolta antropologica. Il criterio dell’Incarnazione ci è di massimo aiuto: la nostra vocazione alla santità si concretizza (vedi cap. v della Lumen Gentium) nella misura in cui la nostra umanità la sintonizziamo sull’umanità piena e definitiva di Cristo. Il documento conciliare della Gaudium et Spes respira questo punto; così come la “Dei Verbum” (v.n. 13); così come il documento “Redemptor hominis” di Giovanni Paolo II e il poco letto ma importantissimo “Il rinnovamento della Catechesi”. Si potrebbero aggiungere tanti altri, ma fermiamoci qui.
Dio si fa presente nella nostra povera parola e nel nostro povero gesto. Nicodemo l’ha attuato. Ad ognuno di noi, “servo inutile” si chiede però la gioiosa quotidiana fatica di far trasparire il mistero che serviamo.
Nicodemo, cosa può far trasparire del mistero grande di Dio ai giovani di Mammola, oggi? Presento alcune piste che possono essere delle vie di intervento pastorale a favore dei giovani.


Nicodemo e il lavoro

Sul monte Kellerana, in questo luogo orrido e inestricabile, Nicodemo con i suoi discepoli, costruisce il cenobio e inizia la trasformazione del terreno boscoso in campo coltivabile. Vi si coltivano il grano, la vite, il castagno ed altri frutti; col tempo si costruisce il mulino e vi si appronta il forno. L’autore del bios scrive che Nicodemo “usciva di buon mattino dalla sua cella con la propria zappa e si metteva a lavorare la terra per la produzione di ortaggi”.
I monasteri bizantini (e quindi anche il nostro) col tempo divennero anche scuola di agricoltura e mestieri, rimboschendo, bonificando, dissodando, arando, seminando, rendendo intensiva la coltura dell’olivo, vite e castagno, costruendo acquedotti e mulini, aprendo spazi a prime attività artigianali.
Un invito rivolto ai giovani e ai responsabili della pastorale giovanile: andate presso il nostro cimitero (dal 1500 in poi luogo di vita dei monaci) e visitandone la parte bassa, lato sinistro della Chiesa, noterete che c’è una stanzetta, oggi un po’ malandata, che ha al suo interno il palmento.
Cosa può dire oggi questo ai giovani? Quali itinerari educativi si possono attivare?
Cambiamenti ci sono, ma ancora è forte la cultura dell’assistenzialismo e della dipendenza. Molti giovani iniziano la vita adulta senza prospettive, senza speranze. Oggi le offerte di lavoro di natura pubblica sono poche; moltissimo dipende dall’iniziativa privata. Centrale, quindi, risulta l’educazione a non attendere e accogliere, ma al farsi soggetto della propria crescita. In questo quadro risulta centrale l’educazione al lavoro per gli adolescenti; per i giovani e giovani-adulti avvio esperienze-pilota.
Nicodemo è di esempio. Kellerana era un luogo orrido e inospitale; egli lo trasforma in “giardino di Dio”. Cosa ci insegna?
Parlando con il linguaggio d’oggi, obiettivo: propulsione degli uomini del sud, meridionalisti protagonisti della propria storia; occorre un meridionalismo endogeno per una crescita autopropulsiva e incidente in modo da evitare la sorpassata concezione endogena dello Stato centralista; e occorre tradurre il meridionalismo in regionalismo. Regionalismo: rafforzamento del sistema democratico, allargamento dei meccanismi di partecipazione e rappresentanza; si vuole più Stato, più Regione, più Enti locali. Occorre elaborare un progetto politico fatto di scelte; curare la programmazione con regole, scadenze, indirizzi e tappe. La Chiesa sia anche progetto sociale.

Nicodemo e la preghiera

Nicodemo al lavoro accoppia la preghiera; e specialmente quella liturgica, consistente nella recita quotidiana del Salterio, alla quale dedica buona parte della giornata.
Sembra oggi difficile coniugare giovane-preghiera. Nicodemo può insegnare qualcosa?
D. Ernesto Monteleone, oggi monaco eremita Kellerana, ci dice: “... mi segua. La Chiesa è come un albero; io mi trovo nella parte nascosta, nelle radici. Il tronco, i rami, le foglie sono tutte componenti importanti. Senza le foglie non ci sarebbe il ricambio dell’aria, ma senza le radici non arriverebbe linfa al tronco e quindi alle foglie. La preghiera, la contemplazione, la penitenza: ciò è linfa. Sarebbe assurdo che l’albero della Chiesa fosse composto da soli rami. La Chiesa è armonia, linfa. Sarebbe assurdo che l’albero della Chiesa fosse composto da soli rami. La Chiesa è armonia, come l’albero”. Continua: “Il linguaggio più eloquente dell’eremita è il silenzio perseguito in penitenza nella separazione del mondo, deserto esistenziale, fatto di immolata solitudine materiale, luogo meraviglioso, pieno della presenza di Dio, dove Dio stesso si compiace di parlare al cuore dell’uomo” (in Gazzetta del Sud, agosto 2001). La preghiera è il luogo dove più facilmente Dio chiama per nome (il Dio dei cristiani è il Dio di Abramo, Isacco, Giacobbe) e dove più facilmente possiamo ascoltarLo e parlarGli. Dice il Card. Martini; “L’incontro più autentico e vero avviene nel profondo, nelle radici della persona, in ciò che essa è e non solo in quanto fa o produce”.
Nicodemo, la bellezza dei posti, la natura, il cielo, i fiori, gli animali, i prati, l’operosità, la presenza di d. Ernesto, ecc. possono insegnare molto ai giovani. Coniugare Nicodemo-giovani-preghiera-linguaggi giovanili diventa allora molto fruttuoso, doveroso e anche facile; basta volerlo.


Nicodemo e i poveri

Dice il bios: “… essendo divenuto famoso da ogni parte accorrevano al santo portandogli offerte, e confessandosi e chiedendogli di ricevere la sua benedizione ed egli molto saggiamente, quasi nullificando il potere della vanagloria, accoglieva le offerte e le distribuiva generosamente a chi ne avesse bisogno, senza appropriarsi della minima parte: né di un mantello, né di una tunica, neanche della cosa più insignificante, nemmeno di una sola moneta”.
Oggi c’è benessere economico, non distribuito equamente, con punte anche di neoliberismo. Riprendere in mano la Dottrina Sociale della Chiesa può aiutare molto.


Nicodemo e il pellegrinaggio

Tra luglio e settembre Kellerana, ogni venerdì del mese, è meta di pellegrinaggi. Anche molti giovani vi partecipano; chi a piedi, chi in macchina.
Ci racconta il bios che nel cenobio la vita era permeata di preghiera, mortificazioni e lavoro. La giornata era distribuita razionalmente; niente era lasciato al caso e per questo poco spazio era dato all’ozio. Forse per questo i monaci desideravano sperimentare uno stile di vita meno duro e aspro. Chiesero a Nicodemo, e questi vi acconsentì, di condurli alla Chiesa di Santa Maria di Buceti (nel vicino territorio di Martone). Vi arrivarono nel giorno della festività dell’Assunta, quando il luogo era pieno di fedeli per celebrare la festa della Madre di Dio: grande la presenza di popolo (forse siamo in presenza di una fiera), ma anche grande confusione. I monaci con Nicodemo ritornarono al monte Kellerana.
Nicodemo e il pellegrinaggio: molti giovani vanno da soli; per molti di loro il pellegrinaggio è vissuto come momento di socializzazione; difficilmente diventa percorso di educazione alla fede. Il pellegrinaggio deve essere guidato dagli adulti-animatori. Il pellegrinaggio sia luogo di evangelizzazione, approfondimento della propria fede, cammino verso l’interiorità, espressione di gioia – serenità – pace. Siano curati gli elementi del suo itinerario educativo: partenza (vita quotidiana), cammino (itinerario spirituale), meta (incontro con il divino), ritorno al quotidiano; abbia fondamenti biblici, teologici e della vita del santo; tenga conto dei linguaggi giovanili.


Nicodemo e la ricerca dell’identità

Oggi c’è una caduta dell’identità personale e collettiva dei giovani, non solo della loro, dovuta alla perdita di punti di riferimento normativo. Si parla oggi di influsso del “pensiero debole” sul vissuto giovanile; la precarietà diventa allora condizione normale di vita, con la conseguente non significanza di vivere la vita come progetto; forte risulta anche la mediocrità. I giovani vivono oggi un eterno presente; progetto, etimologicamente significa “gettare avanti”.
Il Catechismo degli Adulti, riprendendo la Gaudium e spes, n. 10. ci dice: “ E’ necessario prendere sul serio le grandi domande, che ognuno di noi si porta dentro: chi sono? Da dove vengo? Dove sto andando? Chi evita le domande fondamentali fugge da se stesso”.
Nicodemo ha vissuto la sua vita in pienezza; ha vissuto la sua vita come progetto: ha modellato la sua umanità sull’umanità piena di Gesù. Leggendo il Bios, notiamo che ha vissuto in pienezza la sua fanciullezza e giovinezza; ha vissuto in pienezza la sua maturità; ha saputo ben vivere la sua morte (dice S. Agostino che chi sa ben morire, sa ben vivere). Con il linguaggio d’oggi, diremmo che Nicodemo ha avuto una personalità strutturalmente armonizzata.
Il Dio di Gesù Cristo è colui che ama appassionatamente “il camminare a testa alta” degli uomini, di ogni uomo; è Colui che si fa dono ad ognuno e a tutti perché possano diventare soggetti. (I giovani del sud interpellano la Chiesa e gli educatori. Conversazione di Giancarlo Brigantini, vescovo di Locri-Gerace. Adattamento redazionale di Mario Del piano, in Note di Pastorale Giovanile).

CORRADO SCARFO'

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