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C'è quello di Sant'lìarione, che era abbandonato da sessantanni. C'è quello
delle Querce, in una sperduta frazione di Caulonia. E poi, ancora, quelli di San
Nicodemo e dell'Unità: tra le balze aspre e verdi dell'Aspromonte vanno rinascendo numerosi eremi che coniugano tradizione orientale e rinnovamento conciliare. Rinverdendo così l'antica fama della Calabria come nuova "Tebaide".




Sant'llarìone c'è un leggio in legno posto proprio
all'ingresso. Il Messale è li aperto sulle letture del giorno con i versetti dì Isaia: «Lo invocherai e il Signore ti risponderà». Questa è la chiesa di un eremita ma la Parola di Dio va sempre condivisa, sia pure nella solitudine. Frédéric Vermorel è arrivato qui otto anni fa. Un percorso tortuoso, il suo. Chi è in ricerca non ha autostrade davanti a sé. Originario della Loira, laureato a Parigi in Scienze politiche e Lingue orientali, camminatore giramondo (ha percorso a piedi tutta la Toscana), venne folgorato dalla Calabria durante un viaggio nel Mezzogiorno d'Italia. Qualcuno gli aveva parlato della Comunità di Santa Maria delle Grazie, fondata da Gianni Novello a Rossano, dove forse avrebbe potuto trovare risposta ai suoi interrogativi. Lì scoprì un modo nuovo di intendere l'esperienza monastica, non aliena dalla realtà ma capace di leggere i segni dei tempi.

Impegno sociale e con-templazione tenuti insieme, attualizzando la tradizione cristiana d'Oriente.
Rossano era una comunità aperta, che incoraggiava a prendere il largo. Frédéric volò in Brasile. Rimase alcuni mesi tra i monaci di Goias, ispirati alle regole benedettina e basiliana. Quindi andò in Belgio a studiare teologia dai gesuiti. Infine il ritorno in Italia. Visitò la Comunità di Bose e quella di Marango, in provìncia di Venezia, che si richiama all'esperienza dossettiana. Qui don Giorgio Scatto, guida del monastero, gli lesse il cuore e comprese che la sua vocazione religiosa era orientata alla vita solitària ispirata al monachesimo orientale. «Devi tornare in Calabria», gli disse perentorio. Sì, ma dove?
Provvidenziale fu l'incontro con padre Giancarlo Maria Bregantini, allora vescovo di Locri-Gerace. Che gli propose di insediarsi in un antico eremo basilia-no, uno dei tanti che punteggiano l'entroterra ionico.
Sorge alle spalle di Caulonia ed è dedicato a Ilarìone da Gaza, primo monaco palestinese, 11 luogo era in abbandono da decenni. L'ultimo eremita era andato via dopo la terribile alluvione del 1951, 11 fiume Aliano che scorre accanto al monastero sembra placido, ma i contadini sanno che può diventare molto cattivo, Frédéric trovò i locali in gran parte diroccati e quelli rimasti in piedi spogliati dì tutto. Eppure, accanto alla porticina d'ingresso del cenobio, nell'intercapedine tra la parete e un muro di sostegno, era cresciuto un olivastro. Aveva messo radici là dove nessuno poteva sospettare e ora, florido e frondoso, offriva una bella ombra al visitatore.
Un segno per convincersi che, nonostante tutto, si poteva ricominciare.

Con tanta fatica e pazienza, l'aiuto di volontari e il sostegno degli abitanti del vicino borgo di San Nicola, il luogo venne reso di nuovo abitabile, il 22 luglio 2007 Frédéric pronunciò i voti monastìci temporanei e ricevette anche l'abbraccio del papa, vecchio veterinario infine arresosi alla scelta assoluta di Dio fatta dal suo unico figlio maschio. «La cosa che più colpì i miei fu vedere quanto qui io sia amato da tutti».

Tre anni dopo, il 31 luglio 2010, la consacrazione. Ma non è stato un traguardo facile. Ha scoperto che fra coloro che lo circondano d'affetto c'è chi resta impigliato nella rete dell'illegalità: «Mi sono sentito assediato da una marea di male, fuori e dentro di me. Pochi giorni prima era scattata un'operazione contro la 'ndrangheta, con più di trecento arresti in una sola notte. Tra gli uomini finiti in manette, una dozzina erano originari dì San Nicola.
Non immaginavo la profondità del fenomeno. Ho provato a parlarne. "Sono dei poveri figli di mamma arrestati per sbaglio", mi hanno detto. E anche nella Chiesa nessuno ha preso posizione, a parte il vescovo. Ho pensato allora che veniva tradita la bellezza di questa terra e sciupata l'accoglienza della sua gente. Dentro di me c'è stata la tentazione di cedere alla disperazione, di mollare tutto».

E invece Frédéric ha preso a modello l'olivastro e ha messo radici dove sembrava impossibile. Adesso è un eremita diocesano, con una regola approvata dal vescovo. La sua giornata è scandita dalla preghiera dei salmi, che canta accompagnandosi con la cetra, dalla lectio divina, dal lavoro manuale. A volte accoglie ospiti che si interrogano sull'oltre. Proprio come lui. Che a 53 anni non si sente affatto arrivato: «Certo, il mio impegno qui ormai è definitivo, ma rimane il senso dell'avventura interiore. Il viaggio continua, dentro di me».

Anche noi continuiamo. Prossima tappa l'eremo delle Querce. Basta risalire la collina e scendere nella valle a fianco, quella detta «dei ciliegi», che qui erano floridi e facevano frutti abbondanti. Adesso la campagna non la coltiva quasi più nessuno. Passiamo accanto a case coloniche brutte e fatiscenti. Così è una sorpresa, dopo l'ultima curva, trovarsi dì fronte a una cappellina linda e ben tenuta. Ogni pietra è stata posta con cura, ogni cosa ha un significato preciso, compresa la croce in cima al campanile, che richiama le forme bizantine.

Siamo a Crochi, altra sperduta frazione montana del comune di Caulonia,
Da circa nove anni vi risiedono le Sorelle di Gesù, comunità di diritto diocesano formata da quattro suore, una postulante e una laica. Eremite un po' per caso, un po' per scelta tra le balze di questo estremo lembo aspromontano. «Facciamo una vita ritirata ispirandoci alla regola di san Basilio, ma siamo ben inserite nel territorio», spiega suor Carmelita.

Nell'eremo di Crochi tutto è pulito, lindo, in perfetto ordine. Racconta suor Rossana, siciliana verace: «Quando siamo arrivate prevaleva la sfiducia. "Cu va foci fan" (chi ve la fa fare), ci dicevano. E invece, vedendo che qualcosa cominciava a nascere, i nostri vicini hanno ripreso a curare l'orto, a seguire le coltivazioni. La notizia si è diffusa tra gli emigrati, è arrivata perfino in Australia e adesso c'è chi comincia a pensare che, magari, un giorno si potrà tornare a vivere qui».

Le suore somigliano ad allegre for-michine. Mettono insieme tanti preziosi granelli, uno dopo l'altro. Le ruspe stanno preparando il terreno dove sorgerà una biblioteca. Verrà messa a disposizio-ne di chi non ha neppure una scuola, perché lo Stato ha chiuso le multiclassi
nelle frazioni rurali. C'è già una foresteria con dei graziosi miniappartamenti.
Qui sono accolti gli ospiti che partecipano alle settimane di iconografia.

La Giikophihusa è il punto d'orgoglio: un laboratorio di spiritualità e tecnica dell'icona, Forse l'unico in Italia dove si usa la tecnica originale, sempre nel solco della spiritualità dell'Oriente cristiano, che si respira a pieni polmoni. Suor Renata, una veneta conquistata dal Sud, è stata allieva del noto ìconografo gesuita Igor Sendlere ora fa fruttare al meglio i suoi talenti. Viene quaggiù gente da tutta Italia. Altri corsi sono stati awiati dalle suonine dì Crochi a Pratica di Mare, vicino a Roma. «Vogliamo trasmettere bellezza», dicono quasi in coro offrendoci il caffè. Che ci sembra abbia la fragranza della solidarietà e risvegli questi luoghi da un lungo letargo.

Due giovani contradaiole sono diventate delle brave iconografe: lavorano a tempo pieno per soddisfare le richieste che giungono da ogni parte. Si intravedono nuove prospettive, ci sì ritaglia un ruolo, si cresce nella fede. C'è chi fa il catechismo, chi tiene corsi di recupero scolastico. I bambini percorrono chilometri a piedi pervenire a Messa e strada facendo raccolgono primule e margherite per ornare l'altare. «Quei fiori per noi sono la cosa più preziosa che abbiamo mai visto».
Si resterebbe a lungo ad ascoltare le storie di queste donne, ma è tempo di scalare un altro monte. Ci spostiamo un po' più a sud, al Passo della Limina, sulle creste che segnano per l'appunto il limite tra le pendici dello Jonio e quelle del Tirreno. In fondo a una valle verdeggiante, incorniciato di pinete, lecci e boschi di faggio, c'è l'eremo di San Nicodemo abate. Secondo la tradizione questo è il luogo in cui il monaco calabrese praticò per molti anni un'ascesi severa e dove morì nel 990.
Da secoli nessuno aveva più seguito le orme di Nicodemo, finché 15 anni fa non giunse padre Ernesto Monteleone. Un uomo esile, dalla barba candida. Era stato a lungo parroco in alcuni paesini della diocesi, ma sorella solitudine lo attirò a sé. Parla sottovoce ricordando quel periodo: «Quando alla fine di una giornata in parrocchia restavo da solo davanti al tabernacolo riflettevo: "Se il Signore salva il mondo così, vuoi dire che il silenzio dell'Eucarestia è davvero importante"». D'accordo col vescovo fece un anno di prova. E rimase. Una sentinella che attende l'aurora. All'ultimo ritiro dei sacerdoti è stato chiamato a confessare i confratelli. Altri vanno a trovarlo, anche solo per una parola o un incoraggiamento spirituale.
Grazie al Concilio Vaticano II si può fare vita eremitica rimanendo incardinati nella diocesi, senza appartenere a un ordine religioso. Padre Ernesto, tuttavia, si sente molto vicino ai certosini, Lo si capisce dalla cocolla bianca che indossa. Per le grandi feste religiose va a Serra San Bruno dai suoi amici della certosa di Santo Stefano del Bosco. Anch'egli, nella propria regola, ha inserito l'ufficio notturno, La preghiera inizia alle 23,30 e termina all'una. Su 11'Aspramente, ogni notte, insieme al suono del cuculo, echeggiano le note del gregoriano salmodiate in solitario dal monaco eremita, Sorride: «II canto da respiro, è un modo unico per esprimere l'amore al Signore, è la serenata dell'amante alla sua bella».
C'è poi la musica della natura, specie quella del vento, che alla Limina soffia impetuoso, «La natura ci parla della bellezza del Signore e facilita il rapporto con l'assoluto. Ma dobbiamo saperla ascoltare. Ogni tanto arrivano al santuario dei giovani visitatori.








































































































di ENZO ROMEO

foto dì GIULIO ARCHINÀ

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